Fresco vincitore tra gli Eccellenza del primo Gran Premio Fitav di Fossa Olimpica a Lonato subito dopo aver condotto uno stage a Teheran alla fine di marzo per conto della Fitav, il Carabiniere milanese racconta i suoi trenta anni di maglia azzurra e assegna i voti al Trap del passato e del presente
Competente, talentuoso, sottile autore di giudizi mai scontati. In sintesi: Rodolfo Viganò. Già, in quel ritratto delineato con tratti sintetici c’è proprio tutto il Rudi Viganò che conosciamo: il tiratore dalle singolari doti tecniche che già da giovanissimo seppe essere autorevole leader (chi “mastica” tiro a volo da un po’ se lo ricorda “capitano” della formazione degli azzurrini di Trap che si segnalò al Mondiale di Perth del 1991 sotto la guida del coach Ennio Mattarelli) e che ha compiuto nel 2017 ben trenta anni di Nazionale, collocandosi stabilmente tra i primi quindici specialisti del Trap del ranking mondiale per venti anni e, in quello stesso lasso di tempo, riuscendo a inanellare importanti vittorie e piazzamenti (la prima medaglia in Coppa del Mondo per Viganò risale al 1993 e la più recente al 2012), quattro titoli italiani di Eccellenza e la partecipazione ai Giochi olimpici di Sydney 2000.
Rodolfo Viganò è stato tra i componenti della squadra dei Carabinieri che ha conquistato il titolo tricolore delle formazioni in divisa all’intersocietario di Bologna del 2017: nell’immagine Rudi Viganò è il primo in alto a destra. Sono con lui Massimo Fabbrizi, Valerio Fioravanti, Valerio Grazini, Nicholas Antonini, Emanuele Bernasconi, il coach Antonio Campus e l’iridato Daniele Resca
Campione dalla tecnica impeccabile, dicevamo, Rodolfo Viganò è stato spesso soprattutto critico dal rasoio affilato nei confronti di ciò che è avvenuto nel corso degli anni allo sport che ha più amato: il tiro a volo. Dunque, come vede la Fossa Olimpica del 2018 un campione che ha attraversato da protagonista più di tre decenni di storia di questa disciplina?
“È sempre stata mia abitudine andare al sodo, – dice con la nota schiettezza il quarantasettenne milanese che oggi vive con la famiglia tra il verde della campagna pavese di Castello d’Agogna – pertanto mi esprimerò con dei voti alla maniera scolastica. Ho gareggiato con tutte le tipologie della finale internazionale della Fossa Olimpica fino dal 1988 e ritengo che questo mi autorizzi quantomeno ad emettere dei giudizi. Ogni giudizio, poi, si sa, è condivisibile o meno. Ebbene, la sufficienza all’attuale finale sento di poterla assegnare, ma per l’impianto generale della gara non posso che scrivere: insufficiente. Ed è presto detto il motivo. Per il fatto che in questa gara non vince chi rompe più piattelli, che è invece il criterio fondante del tiro a volo. Certo, la finale attuale è comunque preferibile a quella del 15 + 15 perché almeno tiene conto della qualificazione. Ma per me resta comunque inaccettabile azzerare il punteggio di qualificazione.”
“Ho detto appunto che assegnerei la sufficienza a questa finale -prosegue Rodolfo Viganò – perché nei fatti, svolgendosi sulla distanza di 50 piattelli complessivi, rappresenta un banco di prova impegnativo che rispetta i valori in campo. Nell’economia complessiva della gara, restano però degli aspetti che non sono conformi al principio di base del nostro sport. Innanzitutto chi spara alla Fossa Olimpica pratica di fatto due specialità: una con due colpi e un’altra con un colpo solo. Facciamo una gara di qualificazione in un modo, ovvero con due colpi, poi, però, spareggi, finale e shoot-off si svolgono tutti ad un colpo solo. Inoltre, d’accordo, ho appena detto che non butto giù dalla torre la finale, ma è certo che si tratta di una finale sproporzionata rispetto al resto della gara perché si compone di due serie intere di fila!”
Rodolfo Viganò illustra alcuni accorgimenti tecnici ad una tiratrice iraniana nel corso dello stage condotto dal Carabiniere milanese a Teheran nello scorso marzo per conto della Federazione italiana tiro a volo
“Si è voluto assimilare il tiro a volo ad altri sport come l’atletica, tanto per fare un esempio. Con la differenza che, proprio per rimanere all’esempio, nell’atletica ogni batteria e poi le semifinali e le finali sono ogni volta una gara con le stesse caratteristiche, mentre nel tiro a volo si finisce per fare una gara completamente diversa dalla fase di qualificazione e la si chiama finale. Io credo che non si sarebbe mai dovuto dimenticare che il tiro a volo è uno sport di resistenza, non di esplosività come può avvenire appunto per l’atletica e che pertanto quello deve essere il principio che informa il meccanismo di gara. Non ho alcuna esitazione a dire che negli anni è stato letteralmente rovinato uno sport, il tiro a volo, appunto, che a mio giudizio negli anni Ottanta e Novanta aveva raggiunto il massimo livello della sua espressione tecnica e agonistica.”
Nel selfie scattato al principale impianto di tiro a volo di Teheran Rodolfo Viganò è ritratto con un gruppo di atleti e di dirigenti della nazionale dell’Iran
Rodolfo Viganò ha dovuto affrontare nei mesi passati anche un’altra trasformazione condivisa da molti altri atleti sia del Trap che dello Skeet, ovvero il proprio passaggio dal Corpo Forestale al Gruppo Sportivo dei Carabinieri: che cosa ha determinato questo evento?
“Posso dire che non solo non è stato certamente traumatico, ma è stato invece un fenomeno che mi ha fornito nuovi meravigliosi stimoli. Innanzitutto, precisiamo che sono approdato ad un gruppo, quello dei Carabinieri, appunto, in cui c’erano ovviamente tante persone che conoscevo già molto bene: Antonio Campus, Massimo Fabbrizi, Daniele Resca, tanto per fare di nuovo qualche nome. In più ho trovato lo stesso alto livello di professionalità che aveva già caratterizzato il mio lavoro anche nella situazione precedente. Potrei riassumere l’evento in uno slogan: tuta nuova, nuovi stimoli. E quindi, in parallelo, anche tanta voglia di ripagare con i risultati coloro che hanno dimostrato di aver ancora fiducia nel mio modo di esprimermi in pedana.”
C’è stata anche un’altra interessante esperienza nell’attività recente di Rodolfo Viganò: uno stage condotto per conto della Fitav a Teheran. Che cosa è emerso da questa esperienza?
“Sì, il Presidente Luciano Rossi mi ha chiesto di condurre uno stage a Teheran alla fine di marzo nell’ambito di un ormai consolidato e proficuo rapporto di collaborazione tra la Fitav e la Federazione iraniana di tiro. Ho trascorso alcuni giorni all’impianto principale di Teheran e ho lavorato con un gruppo di atlete e atleti e con i loro dirigenti. In Iran il tiro a volo conta attualmente non più di centocinquanta praticanti e i giovani più promettenti sono attestati sulla media del 21 – 22. C’è ovviamente molto da fare per dare solidità tecnico-agonistica a questo gruppo e anche per dare ad esso maggiore consistenza numerica, ma il supporto tecnico che ho cercato di fornire attraverso questa collaborazione tiravolistica tra Iran e Italia ha sicuramente dato slancio alla volontà di molti di questi atleti di raggiungere livelli superiori.”
Questo esperimento prelude ad una possibile attività di coach all’estero per il Rudi Viganò dei prossimi anni?
“Nel corso della mia carriera ho ricevuto numerose offerte di questo genere e in realtà le ho sempre rifiutate. Come amo dire, ho il bianco, il rosso e il verde nel cuore e anche se, nel caso appena analizzato, la bandiera dell’Iran ha proprio questi stessi colori, sono i colori della bandiera italiana quelli a cui appartengo senza se e senza ma. Ho avuto l’onore e la gratificazione di militare per trent’anni nella Nazionale italiana e per me è sempre stato motivo di grande orgoglio prestare un servizio per il mio Paese. Come ho detto prima, sto ricevendo importanti stimoli dal mio lavoro agonistico con i Carabinieri e ritengo quindi che, conclusa per il momento la lunghissima parentesi in maglia azzurra, sia quello l’ambito in cui al momento posso esprimere il mio migliore spirito sportivo.”
Rudi Viganò con il tiratore iraniano Moslem Abdulraman